RIDI, PAGLIACCIO

“La gente paga y aquí quiere reír (…)
¡Ríe, Payaso, y todos te aplaudirán!
Transforma en bromas la congoja y el llanto;
en una mueca, los sollozos y el dolor. ¡Ah!
¡Ríe, Payaso,
sobre tu amor despedazado!
¡Ríe del dolor qu e te envenena el corazón!”
Con estas palabras acompañadas de la música de Ruggero Leoncavallo, la ópera I Pagliacci nos lleva a su momento cumbre. Un mundo de caretas y sentimientos duplos que llena este mes el escenario del Gran Teatre del Liceu, compartiendo protagonismo con la Cavalleria Rusticana de Mascagni. La dirección escén ica de la cineasta Liliana Cavani sitúa la acción de esta troupe a las afueras de una ciudad, junto a las solitarias ruinas de un anfiteatro romano, un “coliseo” cualquiera de tantos que los latinos dejaran sembrados en tierras itálicas. Desde el primer momento, Cavani nos mete de lleno en el más claro imaginario italiano, en la estética de su cine de mediados de siglo, desde el neorrealismo de De Sica a la comedia de Monicelli. Cavani no deja lugar a dudas. Al igual que su partenaire en el escenario, I Pagliacci no se anda co n rodeos. En poco más de una hora desata todas las pasiones y desenmascara a todos los personajes, sin lugar a dobles interpretaciones. Es aquello de “si breve, dos veces bueno”. Reconozco que me ha emocionado. A pesar del traqueteo de la escenografía al paso de los personajes. A pesar de la discreción de la partitura. Leoncavallo nos invita a un plácido paseo para, repenti namente, tirarnos por una cuesta abajo y dar la pieza por acabada. Debe ser característica propia de eso que llaman el “verismo”.
Hoy, sin embargo, estoy pensando en otra cosa. Hoy en realidad estoy pensando en esas palabras de Pagliaccio, en el aria “Vesti la giubba” que tanto nos habla de la vida real, de cualquier día en cualquiera de nuestras vidas. Pienso en la máscara que ponemos sobre jornadas despedazadas, ocultándonos a las desgracias: ¡la gente quiere reír! Riamos pues ante el dolor del mundo. Ante los tsunamis arrasadores, la radiación nuclear, los asesinos libios, las guerras marfileñas, los despidos, la represión de l os trabajadores, la libertad de culto, los países falsamente laicos, los fascistas que asaltan escenarios…
Riamos del dolor que nos envenena el corazón… O, tal vez, como Pagliaccio, acabaremos clavándole una daga certera.

“La gente paga, e rider vuole qua (...) Ridi, Pagliaccio, e ognun applaudirà! Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto in una smorfia il singhiozzo e 'l dolor, Ah! Ridi, Pagliaccio, sul tuo amore infranto! Ridi del duol, che t'avvelena il cor!” Con queste parole, accompagnate dalla musica di Ruggero Leoncavallo, l’opera I Pagliacci ci porta a suo momento algido. Un mondo di maschere e di sentimenti doppi che occupa questo mese il palcoscenico del Gran Teatre del Liceu, condividendo il protagonismo con la Cavalleria Rusticana di Mascagni. La regia di scena della cineasta Liliana Cavani situa l'azione di questa “troupe” alla periferia di una città, vicino alle rovine deserte di un anfiteatro romano, un "colosseo" qualsiasi fra tanti altri lasciati dai latini su terre italiche. Fin dall'inizio, Cavani ci immerge piena mente nel più evidente immaginario italiano, nell'estetica del suo cinema di metà del secolo, dal neo-realismo di De Sica alla commedia di Monicelli. Cavani non lascia spazio a dubbi. Come il suo partner sul palco, I Pagliacci non ha mezzi termini. Poco più di un'ora basta per scatenate tutte le passioni e smascherare tutti i personaggi, senza doppie interpretazioni. Sarà quello di "se breve, due volte buono." Ammetto che mi sono emozionato. Nonostante il tremare della scenografia quando passano i personaggi. Nonostante la discrezione della partitura. Leoncavallo ci invita a una piacevole passeggiata per, improvvisamente, buttar ci giù verso una discesa e finire il pezzo subitamente. Deve essere caratteristica di ciò che chiamano il "verismo". Oggi, però, sto pensando ad altro. Oggi sto in realtà pensando a quelle parole di Pagliaccio nell’aria "Vesti la giubba", che tanto parla della vita reale, di qualsiasi giorno in qualsiasi delle nostre vite. Penso alla maschera che di solito mettiamo su giornate spezzate, nascondendo le disgrazie: la gente vuole ridere! Ridiamo, dunque, davanti al dolor e del mondo. Davanti ai tsunami schiaccianti , alle radiazioni nucleari, agli assassini libici, alle guerre ivoriane, ai licenziamenti, alla repressione dei lavoratori, alla libertà di religione, ai paesi fintamente laici, ai fascisti che attaccano scenari ... Ridiamo del dolore che ci avvelena il cor ... O forse, come Pagliaccio, finiremo infilandogliene un accurato pugnale.